"In un regime totalitario gli idioti ottengono il potere con la violenza e gli intrighi... in una democrazia, attraverso libere elezioni..."

mercoledì 21 agosto 2013

EUROPA, IL MOMENTO DI SCEGLIERE DA CHE PARTE STARE

Autore: Angelo Paulon



La diplomazia europea vive giorni di grande impegno. L’esplosiva situazione egiziana, unita al proseguire senza fine della guerra civile in Siria (secondo l’Osservatorio siriano dei diritti umani, violenti scontri sono in corso oggi nei pressi di Ras al-Ayn, nel nordest del paese, tra milizie curde e ribelli affiliati a fazioni qaediste), sono solo due delle molte questioni sul tappeto. Ma la contingenza del momento fa sì che proprio l’Egitto sia ora in cima alla lista delle preoccupazioni dell’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell'UE, Catherine Ashton.

Oggi, 21 agosto, i ministri degli Esteri dei paesi dell’UE si riuniscono a Bruxelles proprio con l’Egitto come tema unico dell’incontro. Cosa ci si può aspettare da tale riunione? Alcuni organi di stampa hanno felicemente riassunto l’obiettivo del vertice con l’espressione “condannare le violenze senza compromettere il futuro”. E in effetti, inviare un messaggio forte ma al tempo stesso costruttivo ai principali attori della crisi egiziana sembrerebbe, in linea di principio, molto saggio e lungimirante.

Peccato che la situazione sul campo, questa volta, consenta solo limitate acrobazie dialettiche. L’Egitto è ovviamente uno dei paesi chiave della regione. Dall’evolversi della crisi dipende non soltanto il suo futuro, ma quello dell’intero Medio Oriente nei prossimi decenni. Non è un caso che tutti gli attori interessati a espandere o conservare la propria influenza sull’area abbiano già chiaramente fatto la loro scelta di campo.

Da un lato il premier turco Erdogan, che ha dichiarato di ritenere Israele responsabile della destituzione del presidente Morsi, da lui considerata un colpo di stato. Erdogan è sempre stato vicino a Morsi e alle posizioni dei Fratelli Musulmani, in quanto il loro background ideologico è sostanzialmente simile. Non a caso, sia il premier turco che l’ormai ex presidente egiziano si sono distinti per politiche analoghe: le graduali purghe contro i militari (basti pensare alla condanna all’ergastolo dell’ex capo di stato maggiore turco Ilker Basbug per il suo ruolo in un presunto complotto volto a rovesciare Erdogan) o provvedimenti socio-culturali indicatori di una chiara visione islamista della società (sempre in Turchia, il ritorno all’abbigliamento islamico per le donne, bandito sin dai tempi di Ataturk; le lezioni obbligatorie di Corano nelle scuole; le restrizioni alla vendita di alcolici).
Anche l’emirato del Qatar ha sin dall’inizio della crisi condannato l’intervento dei militari egiziani. Da molto tempo il Qatar supporta i Fratelli Musulmani in Egitto (anche con aiuti finanziari, che non a caso sono aumentati esponenzialmente dopo l’elezione di Morsi alla presidenza della Repubblica), così come i loro omologhi siriani e altri movimenti affini, come Hamas nella Striscia di Gaza.

Dall’altro lato la maggior parte dei paesi del Golfo, Arabia Saudita in testa, sostengono invece apertamente l’azione dell’esercito egiziano. Il principe saudita Abdullah bin Abdul Aziz ha espresso già la scorsa settimana il suo pieno supporto ai militari egiziani nella loro “lotta contro il terrorismo”. Sulle stesse posizioni dei sauditi troviamo anche Kuwait ed Emirati Arabi Uniti. Israele, sebbene sottotraccia, sta informando le cancellerie dei paesi occidentali che, a suo parere, un solo attore è in grado di promuovere e sostenere un governo stabile che diriga l’Egitto: l’esercito. Se lo si abbandona, il paese farà la fine della Siria o della Libia. Dunque, bisogna prima rimettere lo stato in carreggiata, e solo in un secondo momento si potrà provare a riavviare il processo democratico. Inoltre, lo stato ebraico sta cercando di convincere Obama che non appoggiare i militari egiziani nella loro azione potrebbe compromettere ulteriormente anche la già delicata situazione nel Sinai (terreno fertile per l’insediamento di terroristi islamisti) e danneggiare gli sforzi volti a far proseguire i negoziati di pace israelo-palestinesi.

In sostanza, i fronti pro e contro l’esercito del paese dei faraoni si sono già ben delineati. Dove si colloca l’Europa? 

Sembra certo che gli europei puntino a mantenere un ruolo di mediazione tra l’esercito e la fratellanza musulmana. Una posizione che tuttavia non sembra essere frutto di una chiara visione strategica, quanto piuttosto della consueta divisione tra gli stati membri. C’è infatti chi ha già autonomamente deciso di bloccare le forniture di armi ai militari (Italia e Germania) e chi da parte sua, come la Danimarca, ha sospeso l'erogazione dei finanziamenti ai progetti di sviluppo o alle istituzioni pubbliche egiziane. Altri paesi si dimostrano invece più cauti: di certo, comunque, tra le opzioni in discussione figurano il congelamento degli aiuti finanziari al Cairo e la sospensione degli accordi militari e di sicurezza.

Il problema, però, è di più ampio respiro e non riguarda soltanto il pur corposo programma di assistenza varato da Bruxelles nel novembre 2012: circa 5 miliardi di Euro per il periodo 2012-2014, destinati soprattutto a migliorare la vita quotidiana degli egiziani. La questione è prettamente geopolitica: quale ruolo vuole avere l’Europa in Egitto e nell’intero Medio Oriente? L’UE, tradizionalmente uno dei principali donatori e il maggiore partner commerciale del paese dei faraoni, desidera essere un leader e provare a gestire finalmente la situazione da protagonista, o si accontenterà di fare la comparsa adeguandosi a quanto verrà prima o poi deciso dagli USA? I quali, detto per inciso, non possono tergiversare troppo, dato che sono stati “avvisati” dai sauditi che qualsiasi decisione prendono ora avrà ripercussioni nelle loro relazioni a lungo termine col mondo arabo e musulmano.

Senza dubbio, come afferma l'inviato UE per l'Egitto, Bernardino Leon, “non c’è una soluzione facile”. Congelare gli aiuti economici, dando così un segnale forte ai militari egiziani affinché allentino la morsa sulla popolazione? In questo caso il rischio è perdere ulteriormente influenza economica e politica nella regione. Influenza, peraltro, sempre più minacciata dai paesi ricchi della regione, specialmente l’Arabia Saudita. Proprio Riad ha fatto sapere, lunedì scorso, che i Paesi arabi sono pronti a compensare ogni calo degli aiuti occidentali all’Egitto. Il che dovrebbe suonare come un campanello d’allarme per USA ed Europa.

Sospendere gli aiuti militari? L’assistenza europea all’Egitto in questo campo è di 140 milioni di Euro l’anno. Briciole, se comparate al miliardo e mezzo di dollari assicurate da Washington. Dunque, un’azione solo europea avrebbe ben poco effetto. Viceversa, un’azione concordata tra USA e UE sarebbe ben più impattante. Ma si aprirebbe, in tal modo, un’autostrada per i competitors nella fornitura di armamenti: in primis la Russia, che sarebbe ben felice dell’occasione per fare cassa e, soprattutto, riposizionarsi sullo scacchiere mediorientale.

D’altro canto, dare aperto sostegno alle Forze Armate egiziane per giungere il prima possibile a una stabilizzazione del paese (come apertamente richiesto alla comunità internazionale dal Ministro degli Esteri saudita, Saud al Faysal) verrebbe interpretato come un’azione dichiaratamente ostile ai Fratelli Musulmani. Inoltre,  l’Europa presterebbe il fianco al fuoco di fila delle critiche. Non è difficile immaginare la reazione di certi ambienti intellettuali e culturali in un caso simile: come può l’UE chiudere gli occhi di fronte a quelle che, per gli standard occidentali, sono evidenti violazioni dei più elementari diritti umani? Il valore della democrazia è meno importante del mero interesse economico-politico?

E dunque, parafrasando l’ormai fuori moda Lenin, “che fare”? Per l’Europa si tratta di un dilemma che implica rischi e opportunità in pari grado. Una scelta di campo chiara, precisa e netta, qualsiasi essa sia, comporterebbe il pericolo di crearsi nuovi nemici e di riaccendere vecchie ostilità (ad esempio, a nessuno può sfuggire l’impatto sui movimenti islamisti di un’eventuale scelta di campo a favore dell’esercito egiziano e i connessi rischi per cittadini e paesi europei). Ma tale scelta porterebbe con sé anche l’opportunità di affermarsi, finalmente, come un attore che vuole (ri)acquistare quel ruolo sullo scacchiere mondiale che, in potenza, potrebbe sicuramente recitare.

C’è da scommettere che, come sempre più spesso accade, la scelta non sarà univoca. Tra distinguo, rivendicazioni di autonomia in politica estera, interessi economici e geostrategici differenti, anche stavolta probabilmente l’UE non parlerà con una voce sola (o, se lo farà, si tratterà del solito compromesso al ribasso). Dando ragione, per l’ennesima volta, a tutti coloro che sostengono che la politica estera dell’Europa, semplicemente, non esiste.

Fonti
http://english.alarabiya.net/en/News/middle-east/2013/08/16/Saudi-King-Abdullah-declares-support-of-Egypt-against-terrorism.html
http://www.cnsnews.com/news/article/saudis-warn-west-we-won-t-forget-your-stance-egypt
http://www.israele.net/messaggio-da-israele-prima-evitare-che-legitto-vada-a-pezzi-poi-pensare-alla-sua-democrazia
http://www.jpost.com/Diplomacy-and-Politics/Israel-warns-US-Alienating-Egyptian-army-might-risk-peace-talks-323642

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