"In un regime totalitario gli idioti ottengono il potere con la violenza e gli intrighi... in una democrazia, attraverso libere elezioni..."

lunedì 26 agosto 2013

OPZIONE-KOSOVO PER LA SIRIA?

Autore: Emiliano Bonatti


Il regime siriano ha autorizzato, nella giornata di ieri, gli ispettori delle Nazioni Unite a visitare le zone teatro della strage causata la settimana scorsa nella periferia di Damasco dall'utlizzo di armi chimiche. La Reuters riporta che nella mattinata di oggi gli esperti stanno lasciando il proprio albergo per dirigersi verso il sito. Gli Stati Uniti sostengono che l'autorizzazione sia arrivata con grave ritardo in quanto le prove di un reale conivolgimento delle truppe governative potrebbero essere già state cancellate. Al contrario Assad, in un'intervista ad un giornale russo, sostiene come sia impensabile che un esercito utilizzi armi chimiche in una zona in cui i suoi stessi soldati siano impegnati, rilanciando implicitamente l'accusa nel campo dei ribelli additati dal dittatore come i veri organizzatori della strage, mossa da esigenze di mobilitazione dell'opinione pubblica internazionale sul conflitto siriano.

Da chiunque sia partito l'ordine di una simile barbarie, il risultato dell'internazionalizzazione totale della questione siriana è stato raggiunto. La guerra civile che dura ormai da più di due anni, con oltre 100.000 morti sulle spalle, era ormai finita ai margini dell'opinione pubblica mondiale: le guerre lontane, se non hanno sussulti clamorosi, finiscono lentamente nell'oblio. Ecco dunque un evento talmente grave da diventare un fondamentale spartiacque nella storia del conflitto. Per il Kosovo fù il cosidetto "massacro di Racak" a segnare il punto di non ritorno e ad obbligare "moralmente" i paesi occidentali ad intervenire contro Milosevic, in Siria potrà essere, appunto, il massacro del quartiere di Ghouta. Anche per Racak vennero ventilati dubbi su chi fosse il vero mandante, il regime serbo, infatti, accusò apertamente i ribelli dell'Uck di aver montato ad arte l'evento. Un’apposita commissione d’inchiesta internazionale escluse che si potesse realmente risalire ai colpevoli ma ormai il dado era tratto. Gli Stati Uniti e gli alleati della Nato, spinti dallo sdegno dei propri cittadini, non potevano più rifiutarsi di intervenire a dimostrazione del fatto che l'opinione pubblica, nelle democrazie occidentali, ha spesso un potere devastante rispetto all'eterno temporeggiare dei propri governanti in materia di relazioni internazionali.

La Siria di oggi ricorda molto il Kosovo di fine anni '90. Gli Stati Uniti si trovano di fronte al superamento di quella "linea rossa" che Obama aveva tracciato per il regime di Assad, ma allo stesso tempo di fronte alla totale mancanza di volontà di intervenire in un teatro che agli americani può portare solo enormi problemi. Tutti sanno, però, che in politica internazionale (e a maggior ragione in momenti di crisi) se la minaccia non è mai seguita dall'azione l'attore rischia di perdere lentamente la propria forza e la propria influenza. Molto probabilmente Obama aveva tracciato quella linea convinto che Assad non l'avrebbe mai superata, per paura di pesanti ritorsioni. Oggi questo è successo e la situazione vincola ormai pesantemente gli Stati Uniti ad un intervento forte e deciso, pena la perdita di credibilità. La Francia spinge per un intervento sul campo ma le opzioni restano, ad oggi, decisamente limitate.

Un intervento armato pienamente "legale" dal punto di vista del diritto internazionale è, attualmente, impensabille. Diritto e prassi garantiscono al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il monopolio legale dell'uso della forza a livello internazionale, rendendolo l'unico organo deputato alla legittimazione di un eventuale intervento armato. E' però ovvio che Russia e Cina porrebbero il veto a qualsiasi proposta che vada in quella direzione, rendendo impossibile qualsiasi opzione proposta da altri stati membri. Ecco dunque che prende piede l'opzione-Kosovo, ovvero l'utilizzo dell'iter che aveva portato all'intervento Nato contro il regime di Slobodan Milosevic nel marzo del 1999.

In quella situazione, nella stessa impossibilità di ottenere un pieno mandato dal Consiglio di Sicurezza (la Russia sosteneva la causa della Rep. Fed. Jugoslava guidata dalla Serbia), la Nato decise di intervenire militarmente giustificandosi con la necessità di difesa dei diritti umanitari e appoggiandosi ad interpretazioni di "implicite" autorizzazioni all'uso della forza in alcune risoluzioni del Consiglio stesso. Fiumi di inchiostro sono stati spesi per tentare di capire se l'intervento dell'Alleanza Atlantica fosse in qualche modo legittimo, oltre che "dovuto", per far cessare un conflitto che stava causando quasi un milione di profughi nel teatro kosovaro. Ragionando in termini di diritto, sia in riferimento alle norme sull'uso della forza sia a quelle del diritto bellico internazionale, l'azione armata fu assolutamente illegittima. Alcuni degli stessi Stati partecipanti ai raids, come Francia e Germania, nell’impossibilità pratica di sostenere la legalità dell’intervento, si affrettarono al termine del conflitto a sottolineare l’eccezionalità del caso e la sua inidoneità ad essere considerato come base per una futura prassi interventista al di fuori del sistema delle Nazioni Unite.

Se, dunque, questo sarà il solco da seguire per un intervento in Siria, la Nato (o chi per essa) dovrà affrontare le altrettanto legittime rimostranze del regime siriano e di eventuali alleati. La differenza profonda col Kosovo, però, risiede nel fatto che Milosevic agiva in un teatro ben più stabile dell'attuale medio-oriente (le guerre balcaniche erano appena finite e nessuna nazione aveva il minimo interesse a ripiombare in qualche conflitto) e non poteva vantare un seguito di alleanze, al di là della Russia, di un certo calibro. La Siria, invece, si trova per natura in un'area in cui una piccola miccia potrebbe incendiare un intero sub-continente e ha già trovato la sponda di alcuni alleati potenti. L'Iran, tramite il proprio ministro degli esteri, ha avvisato gli Stati Uniti segnalando come "No international license exists for military intervention in Syria. We hope that White House officials are wise enough to not enter such a dangerous battle. Statements of provocation by American military officials or actions such as sending warships do not help solve the issue and will make the region's situation more dangerous". In aggiunta, nella situazione kosovara la Nato aveva un interlocutore ben definito che rappresentava la globalità dei ribelli, l'Uck. In Siria, attualmente, esistono svariati gruppi di rivoltosi che non hanno una guida comune e il rischio è quello di far piombare la situazione siriana post-regime in un caos simile a quello libico.

La strada per la soluzione della guerra civile siriana, dunque, è in perenne salita. Il ritrovamento di prove schiaccianti da parte degli inviati dell'Onu su reali responsabilità di Assad nella mattanza di Damasco potrebbe dare una spinta notevole verso l'intervento armato, rendendolo maggiormente giustificabile anche al di fuori del sistema decisionale delle Nazioni Unite, bloccato dai veti di Russia e Cina. Di certo, legittima o meno che possa essere, un'azione armata potrebbe dar vita ad una catena di eventi che può realmente far implodere i delicatissimi equilibri su cui si regge attualmente il medio-oriente. E questo Obama lo sa benissimo.


Fonti:
www.reuters.com
Emiliano Bonatti: "Il ruolo delle Organizzazioni Internazionali nella disgregazione della Jugoslavia: genesi, sviluppo e legittimità dell'intervento Nato in Kosovo". 

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