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venerdì 24 ottobre 2014

LOTTA ALL'ISIS: E' NECESSARIO L'INVIO DI TRUPPE DI TERRA?

Autore: Emiliano Bonatti


Il Comando Centrale degli Stati Uniti di Tampa ha rilasciato nella giornata di ieri un breve comunicato in cui aggiorna la situazione dei raid aerei della coalizione, guidata dagli americani, impegnata nella lotta all’Isis nel teatro di guerra siriano e iracheno. Il report parla di diversi bombardamenti attorno a Kobane e Dawr Az Zawr (Siria) con la distruzione di veicoli, postazioni di combattimento/controllo e di siti di stoccaggio di petrolio. In Irak, invece, bombardamenti a sud di Mosul e nell’area di Falluja. Tutte le missioni, secondo il Comando, sono state portate a termine con successo e stanno permettendo di limitare pesantemente le capacità dell’Isis di portare avanti operazioni militari.


Peccato però che le fonti “ufficiose” non vedano la situazione in maniera altrettanto positiva e che non ritengano le sole operazioni aree sufficienti a debellare l’infezione dell’Isis dallo scacchiere mediorientale. La Reuters riporta un paio di interviste ad ufficiali americani che dipingono scenari a tinte fosche. Uno di loro, parlando di Kobane, città al confine tra Siria e Turchia ormai contesa da mesi, sostiene come i bombardamenti e l’invio di armi e medicinali ai curdi assediati abbiano portato ad una semplice “stabilizzazione” della situazione.Le probabilità che i miliziani islamisti riescano ad avere la meglio, però, sono ancora altissime. Un altro ufficiale segnala la necessità di tempi lunghissimi per permettere un addestramento minimo che consenta alle truppe governative, sia irachene che siriane, di tentare una contro offensiva di terra che abbia qualche possibilità di successo contro le truppe del Califfato (si parla addirittura di 12-18 mesi).
A tutto questo si aggiungono le notizie riportate dall’Institute for the study of war che nei report quasi quotidiani dei propri inviati segnala un aumento esponenziale della minaccia dell’Isis verso Baghdad, tramite il classico schema utilizzato per fiaccare le resistenze in aree di interesse: attentati, auto-bombe, colpi di mortaio. Diversi esperti sostengono che, dopo settimane di bombardamenti, sia palese l’inadeguatezza della sola opzione aerea per risolvere il problema a causa dell’adattabilità, velocità e dispersione territoriale delle milizie dell’Isis. La necessità, secondo molti, è quella dell’invio di truppe speciali americane sul terreno per dar man forte agli eserciti governativi, meglio indirizzare i raid aerei e, soprattutto, spezzare il sostegno garantito all’Isis da parte di diverse popolazioni civili e tribù locali, di fatto obbligate col terrore a supportare il movimento.



L’opzione-terra, però, non è al momento considerata da Washington e dai suoi alleati. Obama ha più volte ripetuto che non sarebbero state inviate truppe in Irak o Siria e nessuna delle nazioni che partecipa alla coalizione sarebbe minimamente intenzionata a contribuire coi propri uomini. Le opinioni pubbliche non sarebbero assolutamente pronte ad accettare un simile intervento, in quanto la minaccia dello Stato Islamico sembra a tutti ancora troppo lontana. Così lontana, però, non è. Basterebbe valutare gli ultimi episodi (in Canada ad esempio) in cui “schegge impazzite” di fanatismo provocano morti sui territori dei paesi occidentali, senza contare il fascino che l’ideologia estremista continua a riscuotere su una larga fetta delle ampie comunità musulmane, per capire che la follia non ha confini territoriali e può colpire in qualsiasi momento anche a migliaia di chilometri di distanza dai teatri di guerra.


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