Un popolo che da oltre un secolo
si batte per vedere riconosciuto il diritto ad avere un proprio Stato. Circa 35
milioni di persone che, suddivise tra Iran, Iraq, Siria e soprattutto Turchia,
aspirano all’indipendenza nazionale, negata loro dai governi degli Stati che li
ospitano, che (con il tacito accordo delle grandi potenze, USA in primis) sovente hanno adottato
politiche repressive e di discriminazione razziale volte addirittura a negare
del tutto l’identità e l’esistenza stessa di un popolo. Con tutti i mezzi a
propria disposizione: mass media, forze armate, istituzioni culturali e
scolastiche, torture, reclusione.
Eppure oggi, come forse mai prima
d’ora, il tema del Kurdistan indipendente è di estrema attualità. Anzi, si
potrebbe affermare che, in Medio Oriente, l’emergere de facto di un’entità politica curda è uno degli sviluppi più
importanti e potenzialmente ricchi di interesse. Certamente il ruolo svolto dai
combattenti peshmerga sul terreno, a
Mosul come a Kobane, per contrastare l’avanzata dell’IS in Iraq e in Siria
contribuisce a mantenere alta l’attenzione sulla questione curda. Non è però
questo il tema che trattiamo qui, sebbene sia innegabile che l’ondata di
simpatia e di interesse per i curdi sia destinata inevitabilmente a scemare nel
momento in cui lo Stato Islamico venisse sconfitto o si verificasse qualche
altro scenario di crisi internazionale in grado di soppiantare, almeno sui
media, le aberranti azioni del Califfato.
Cercando di ampliare l’orizzonte
del ragionamento, si potrebbe realmente pensare alla nascita di un Kurdistan
indipendente e riconosciuto all’interno del consesso delle Nazioni Unite? È
ovvio che una simile idea non viene neppure concepita dalla Turchia, né dai
governi degli altri Stati che ospitano sul loro territorio ampie minoranze di
popolazione curda. Questi paesi si opporrebbero con grande forza a tale
ipotesi. Ed è altrettanto lampante che si tratterebbe di uno sconvolgimento
geopolitico di portata enorme; molto maggiore, ad esempio, della nascita di uno
Stato palestinese accanto a Israele.
Sconvolgimento che avrebbe conseguenze per tutti gli attori rilevanti della regione, nonché per le grandi potenze: USA, Russia, Cina dovrebbero per forza ricollocare le loro pedine sullo scacchiere, anche semplicemente considerando che l’area è una delle più ricche di petrolio del globo. È però vero che una certa forma di autogoverno i curdi ce l’hanno già. In forme, peraltro, molto diverse: il Kurdistan iracheno gode di autonomia politica già dalla fine del regime di Saddam Hussein; i curdi siriani devono invece la loro autonomia di fatto essenzialmente all’esplodere della guerra civile. Cosa potrebbe accadere se questa autonomia politica di fatto si trasformasse in vera sovranità politica e territoriale? Quali vantaggi potrebbero derivarne, non solo per i curdi, ma per l’intero Medio Oriente?
Sconvolgimento che avrebbe conseguenze per tutti gli attori rilevanti della regione, nonché per le grandi potenze: USA, Russia, Cina dovrebbero per forza ricollocare le loro pedine sullo scacchiere, anche semplicemente considerando che l’area è una delle più ricche di petrolio del globo. È però vero che una certa forma di autogoverno i curdi ce l’hanno già. In forme, peraltro, molto diverse: il Kurdistan iracheno gode di autonomia politica già dalla fine del regime di Saddam Hussein; i curdi siriani devono invece la loro autonomia di fatto essenzialmente all’esplodere della guerra civile. Cosa potrebbe accadere se questa autonomia politica di fatto si trasformasse in vera sovranità politica e territoriale? Quali vantaggi potrebbero derivarne, non solo per i curdi, ma per l’intero Medio Oriente?
Uno Stato del Kurdistan che
andasse dal confine Iran-Iraq alla Siria, e che magari comprendesse anche
alcune aree curde attualmente facenti parte della Turchia potrebbe davvero
giocare un ruolo di stabilizzatore del Medio Oriente. in particolare in Siria,
una divisione del territorio che tenesse conto delle linee etnico-religiose
(curdi, alawiti, sunniti) potrebbe consentire a ciascun gruppo di controllare
porzioni di territorio omogenee, con confini più difendibili e maggiori
probabilità di alleviare l’atroce situazione umanitaria di quel paese.Lo stesso principio, applicato
all’Iraq, potrebbe dare esiti analoghi. E porre fine una volta per tutte
all’obbrobrio dei confini disegnati con righello e squadra sulle carte geografiche
agli inizi del XX° secolo, dagli accordi Sykes-Picot in avanti, senza tenere
nel benché minimo conto la reale situazione etnica, religiosa, linguistica di
quelle terre.
I vantaggi di uno stato curdo
indipendente non si limiterebbero all’aspetto umanitario, ma potrebbero
dipanarsi anche sul piano economico. Se ad esempio, come suggerisce Moshe Dann
sul “Jerusalem Post”, si costruisse una condotta che, attraverso il Kurdistan,
portasse acqua potabile dal Sud-Est della Turchia fino ai deserti disabitati della
Giordania orientale e dell’Iraq occidentale, si potrebbe dar vita a un’oasi.
Che garantirebbe cibo e posti di lavoro a milioni di persone, gettando le basi
per lo sviluppo economico della regione e la sua stabilizzazione politica. Non solo: un Kurdistan
indipendente e, magari, governato da istituzioni democratiche (anche se
sappiamo bene quanta difficoltà vi sia nel tentare di riproporre modelli di
forma di governo prettamente occidentali in altre aree del mondo), potrebbe
diventare un baluardo contro le minacce iraniane e contenere la Russia nella
regione del Mar Caspio e del Mar Nero e persino i talebani in Afghanistan,
affrancando al tempo stesso l’Europa dalla sua dipendenza energetica dalla
Russia. E rappresenterebbe anche una forza contro gli estremisti islamici,
jihadisti, islamisti, Fratelli Musulmani. (“A strong Kurdish state will be a bulwark against
Iranian threats. It will help contain Russia in the Black/Caspian Sea region
and the Taliban in Afghanistan. It will release Europe from its dependence on
Russian energy sources. It will be a force against Muslim extremists –
jihadists, Islamists, Muslim Brothers, etc”).
Naturalmente, a questi potenziali
vantaggi si potrebbe controbattere con molti, solidi argomenti a sfavore. Uno
su tutti: i curdi non sono un gruppo etnico monolitico e compatto. La loro
storia è storia di centinaia differenti tribù, clan e di grandi conflittualità
tra essi.
E c’è anche una grande frammentazione politica: i vari partiti (dal KDP al PUK, che operano nell’Iraq del Nord, al PKK che fu di Ocalan e guidò la lotta per l’indipendenza curda in Turchia anche con il terrorismo, al PDKI dell’Iran, e altri) sono spesso ai ferri corti tra loro, e il fatto che ora facciano tutti fronte comune contro l’IS non può certo essere visto come un segnale che le tensioni siano terminate. Dunque, niente di più fuorviante che pensare ai curdi come a un’entità compatta in grado di creare uno Stato idilliaco che contribuirebbe, come per magia, a portare pace e prosperità nel Medio Oriente.
E c’è anche una grande frammentazione politica: i vari partiti (dal KDP al PUK, che operano nell’Iraq del Nord, al PKK che fu di Ocalan e guidò la lotta per l’indipendenza curda in Turchia anche con il terrorismo, al PDKI dell’Iran, e altri) sono spesso ai ferri corti tra loro, e il fatto che ora facciano tutti fronte comune contro l’IS non può certo essere visto come un segnale che le tensioni siano terminate. Dunque, niente di più fuorviante che pensare ai curdi come a un’entità compatta in grado di creare uno Stato idilliaco che contribuirebbe, come per magia, a portare pace e prosperità nel Medio Oriente.
Ma è anche vero che, a volte,
pensare fuori dagli schemi può aiutare a trovare soluzioni a problemi che
sembrano irrisolvibili. E in questo momento non sembrano esserci poi molte
altre alternative valide per stabilizzare l’area…
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