Autorità e
agenzie di stampa russe non perdono occasione, da giorni, di glorificare la
potenza e la capacità delle forze armate di Putin di ottenere favolosi
risultati nel loro intervento in Siria contro lo Stato Islamico. I vertici
dell’esercito dichiarano che dall’inizio delle operazioni (30 settembre) sono
state distrutte ben 819 strutture dei terroristi, grazie al perfetto lavoro
delle forze aero-navali russe e della conseguente offensiva sul campo dell’esercito
regolare di Assad. Sottolineano inoltre che tutti gli obiettivi sono stati
colpiti in accordo con i “partners” americani in aree sotto il completo controllo
delle milizie dello Stato Islamico. Un report odierno segnala quanto riportato da
una delegazione russa di ritorno dalla Siria, che segnala addirittura la fuga
di centinaia di terroristi e il ritorno di migliaia di profughi nelle zone di
origine. Un paese in cui diverse aree paiono già pronte per la ricostruzione, sotto
la guida di un governo (quello di Assad) che la idee ben chiare su come risolvere
la crisi e pacificare la nazione. Il tutto, condito da prospettive di enormi
business per le imprese russe, alle quali il governo siriano garantirà
ovviamente la “prelazione” per i lavori necessari a rimettere in piedi la
nazione liberata dai terroristi. Insomma, dal lato russo arriva un bel libro ad
usum propaganda in cui l’intervento nel teatro siriano rasenta i limiti della
perfezione.
Sulla sponda
opposta diverse voci tacciano come pura retorica fuorviante l’autocelebrazione
di Putin. L’ISW (Institute for the story of war), basandosi su fonti attive nel
teatro di guerra, segnala come la “campagna di disinformazione” russa sia solo
un tentativo per presentare Mosca come un partner forte e costruttivo nello
scacchiere siriano. Diversi bombardamenti segnalati contro postazioni Isis
vengono regolarmente smentiti dagli attori sul campo, come i presunti raid
aerei nella zona di Palmira, di cui le fonti impegnate sul terreno non hanno
notizia. Così come la constatazione che la stragrande maggioranza degli
interventi russi non abbia colpito i territori occupati dalle milizie dell’Isis,
ma le postazione del FSA (Free Syrian Army), oppositore di Assad. Human Right Watch e UNHCR accusano Putin di aver ucciso un altissimo numero di civili e
di aver provocato la fuga di diversi cittadini siriani dalle proprie case.
Nel
frattempo gli Stati Uniti, secondo la Reuters,
stanno valutando il dispiegamento di un piccolo numero di forze speciali in
Siria e di alcuni elicotteri Apache
in Irak. L’opzione è al vaglio di Obama, che resta comunque restio all’impiego
di truppe di terra in teatri visti così lontani e ben poco “vitali” dall’opinione
pubblica americana. Si tratterebbe, nel caso, di un cambio di passo pesante
nella situazione intricata del calderone iracheno e siriano. Il rischio, però,
sarebbe quello di creare ulteriore confusione in un teatro che già vede la
presenza di un numero indefinito di attori. Gli obiettivi a medio-lungo termine
di Stati Uniti e Russia sono opposti: Obama pone come condizione la caduta di
Assad, mentre Putin è intervenuto in soccorso del prezioso alleato e, al di la
delle dichiarazioni di facciata, cercherà di tenerlo in sella il più a lungo
possibile.
Sarebbe
dunque difficile, sul campo, capire chi sono gli “amici” e chi sono i “nemici”
(già adesso regna il caos). E si sa, a volte basta una piccola miccia per
scatenare l’inferno…
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