"In un regime totalitario gli idioti ottengono il potere con la violenza e gli intrighi... in una democrazia, attraverso libere elezioni..."

martedì 3 settembre 2013

MR. PRESIDENT, LE SUE LINEE ROSSE, PERCEZIONE DI DEBOLEZZA E RISCHI DI SOTTOVALUTAZIONE

Autore: Angelo Paulon


Mai come in questi giorni Obama sembrava essere all’angolo. Senza il sostegno dello storico alleato britannico, il cui Parlamento ha votato contro l’intervento armato in Siria; incalzato e quasi deriso da Putin che, sprezzante, invitava il già premio Nobel per la pace a pensare alle future vittime della sua eventuale azione militare; sbeffeggiato persino da Assad che rilasciava interviste a grandi giornali occidentali sottolineando come non abbia fornito le prove dell’attacco con armi chimiche del 21 agosto scorso. Proprio in un momento così difficile, Obama sembra aver segnato oggi il primo punto a suo favore: i principali leader repubblicani del Congresso (lo Speaker John Boehner e il leader di maggioranza alla Camera, Eric Cantor) hanno dichiarato il loro sostegno all’intervento militare richiesto dal presidente. Boehner ha sostenuto che è necessario rispondere all’attacco con armi chimiche in Siria e solo gli Stati Uniti hanno la capacità di fermare Assad. Pare quindi che la frenetica attività di lobbying operata dagli uomini più fidati di Obama abbia avuto i primi risultati, mentre fino a ieri il voto del Congresso appariva tutt’altro che scontato. 

Cerchiamo di approfondire la questione. In cosa consiste il vero problema di Obama? Nel non aver ancora attaccato la Siria? Ovviamente no: anzi, allo stato delle cose il non intervento potrebbe anche essere visto come una saggia decisione. Quando si tratta di scegliere tra due mali, si sceglie solitamente quello minore, sul momento o in prospettiva. Ma quando non si è in grado di comprendere quale dei due sia peggiore dell’altro, può avere senso restare fuori dai giochi. In Siria il conflitto è tra un regime spaventoso, che ha massacrato decine di migliaia di persone, e un’opposizione frammentata e poco coesa, ma tutt’altro che esente dall’aver perpetrato stragi e violenze d’ogni genere. Il video circolato per qualche giorno su Youtube, nel quale un combattente dell’opposizione addentava in favore di telecamera il cuore di un lealista dopo averlo ucciso e letteralmente squartato, testimonia l’orrore di cui entrambe le parti sono responsabili. Insomma, nella guerra civile siriana è molto difficile individuare i “buoni”. E in effetti, nessuno tra gli alleati occidentali degli USA è convinto che rovesciare il regime alawita, consegnando di fatto il paese agli islamisti e all’anarchia, sia poi una buona idea. Quindi, il non attacco di per se stesso è parte secondaria degli affanni del presidente USA, considerando anche l’eventualità che il conflitto sfugga dal controllo delle parti e si tramuti in un confronto su scala più ampia.

Parliamo allora della famosa linea rossa dell’utilizzo delle armi chimiche. Circa un anno fa Obama affermò che l’uso di tali armi da parte del regime siriano contro la propria popolazione sarebbe stato inammissibile e avrebbe portato a conseguenze molto dure per Assad. Ebbene, anche se ancora non è stata mostrata al mondo la “pistola fumante”, che il regime abbia fatto ricorso ad agenti chimici parrebbe assodato. Le conseguenze, però, non si sono ancora viste (è anzi possibile che, se anche ci saranno, si tratterà di qualcosa di più simile a un ceffone che a una punizione esemplare. Ceffone dopo il quale Assad sarà probabilmente libero di continuare a usare buona parte della potenza del suo esercito contro i ribelli). Di fronte a questo massacro di donne e bambini, avvenuto utilizzando strumenti così orribili, ci si potrebbe allora chiedere cosa aspettino gli USA, il gendarme del mondo, a fare qualcosa. L’avanzato mondo libero occidentale non può tollerare questo crimine contro l’umanità, che andrebbe punito adeguatamente! Ci si potrebbe e dovrebbe porre, però, anche molte altre domande. Forse scomode. Prima di tutto, che differenza c’è tra le decine di migliaia di morti di questi due anni e quelli del famigerato attacco chimico del 21 agosto? La morte che arriva per mezzo di colpi d’artiglieria, granate, fucili mitragliatori ha un peso minore di quella che giunge a causa del Sarin? Solo queste ultime uccisioni sono adatte a giustificare un intervento armato? E ancora: se bisogna punire l’immoralità di sanguinosi dittatori che schiavizzano e massacrano la propria popolazione, non sarebbe forse il caso di iniziare, a puro titolo di esempio, dalla Corea del Nord? Eppure, non sembra che alcuna voce si levi alta per chiedere a Obama di attaccare Kim Jong-un e liberare il martoriato popolo nordcoreano… che pure, dopo oltre sessant’anni di sofferenze indicibili, ne avrebbe anche moralmente diritto.

E dunque, il cuore del problema del presidente americano è il non aver ancora punito l’uso delle armi chimiche da parte di Assad? Certamente no. E d’altra parte sarebbe irrealistico pensare che gli USA o chi per essi possano inviare truppe, navi o aerei in tutte le parti del pianeta dove vengono perpetrati crimini abietti contro le popolazioni civili. È inutile nascondersi dietro un dito: gli interventi militari dettati da ragioni umanitarie sono normalmente una patina della quale vengono ammantate azioni che hanno in realtà altri obiettivi, più o meno apertamente confessabili. Evidentemente, in questo caso specifico le ragioni geostrategiche statunitensi non sono tali da giustificare un intervento rapido, pieno e risoluto, né a sopportarne le eventuali conseguenze. Allo stato attuale il gioco non vale la candela, con buona pace delle vittime civili passate e future. Possiamo star certi che, se fossero stati in ballo interessi vitali degli USA, staremmo commentando ben altro tipo di decisioni da parte di Obama e una loro ben diversa tempistica; e questo, indipendentemente dalle (non) decisioni  del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.

Ciò che in questi giorni sta angustiando il presidente, e non potrebbe essere altrimenti, è invece la sua immagine. L’errore che gli si può imputare è di aver indicato una “linea rossa invalicabile” in maniera troppo avventata. Avrebbe dovuto essere certo di poter reagire in maniera chiara, tempestiva e adeguata qualora tale linea fosse stata superata. Cosa che è accaduta, ma Obama non ha ancora reagito. Se anche lo farà tra qualche giorno, sul piano dell’immagine sarà comunque troppo tardi. Su molti media internazionali, in varie cancellerie europee e del mondo arabo, tra i “falchi” del governo israeliano Obama è già stato irrimediabilmente bollato come un pessimo Comandante in capo. Percepito come insicuro, riluttante, poco risoluto. Privo di autorità e, il che forse è peggio, di autorevolezza.

Giudizio condivisibile o prematuro? Domanda di non facile risposta. Certamente Russia, Iran, Siria e Hezbollah sembrano uscire rafforzate da questa situazione, e ognuna ha un buon motivo per esserlo. Putin sa che un’America non in grado, fosse anche per libera scelta, di interferire in maniera decisiva negli affari mediorientali apre un vuoto di potere che la Russia può legittimamente aspirare a colmare, almeno parzialmente (già la gestione della questione egiziana da parte degli Stati Uniti ha sollevato parecchie perplessità). E considerate tutte le altre aree di contrasto con gli USA (il disarmo, i missili e i centri radar dislocati dagli americani in Polonia e Repubblica Ceca, l’accesso al petrolio e alle altre fonti di energia, …) si tratterebbe di un bel punto a favore di Putin in questa riedizione 2.0 della guerra fredda. Assad inizia a pensare che forse, contrariamente a tutte le previsioni di un anno fa, potrebbe anche riuscire a restare in sella a Damasco: e non subire grossi danni dagli USA pur avendo osato superare la famigerata linea rossa potrebbe renderlo ancor più determinato a sedare la ribellione, con ogni mezzo, e porre fine alla guerra civile da vincitore.

La partita più importante, in prospettiva, riguarda però l’Iran, lo spettatore più interessato a soppesare la reazione statunitense alle azioni di Assad. La repubblica islamica potrebbe, a detta di molti, trarre forza e sfrontatezza dalle esitazioni degli USA contro Damasco. C’è chi propone una correlazione diretta tra le oscillazioni dell’Occidente tutto sulla Siria e le probabilità che, quando arriverà il momento critico, l’appello a scontrarsi militarmente con l’Iran per impedire che diventi una potenza nucleare finisca col subire la stessa sorte. Se Obama non affronta Assad, avrà il coraggio di combattere con l’Iran, un paese ben più forte, quando questo sarà troppo vicino alla bomba atomica?

Non è il caso di correre troppo con i parallelismi. È chiaro che Obama, come qualsiasi altro presidente si trovasse al suo posto, non sarebbe certo entusiasta di doversi impegnare in una guerra contro la repubblica degli Ayatollah. Ed è sicuro che, prima di dare luce verde a qualsiasi attacco all’Iran, espleterebbe tutte le possibili soluzioni diplomatiche, nessuna esclusa. Ma altri due fattori sono altrettanto certi: da un lato, un Iran dotato dell’arma nucleare modificherebbe completamente lo scenario in Medio Oriente, destabilizzerebbe i rapporti di forza in tutta la regione, potrebbe scatenare una corsa agli armamenti nucleari da parte di altri attori. L’Occidente, e con esso i paesi sunniti del Golfo guidati dall’Arabia Saudita, hanno un interesse diretto a evitare che ciò accada. Detto in altri termini, non possono permetterlo: regalerebbero all’Iran una posizione di enorme potenza, accrescendo tra l’altro il ruolo e l’influenza dei molti gruppi terroristici a esso legati (in primis Hezbollah). Il secondo fattore ha direttamente a che fare con uno Stato che non sbandiera ai quattro venti linee rosse da non superare e non cerca disperatamente sponde tra i paesi amici: molto più pragmaticamente, quando la sua sicurezza è minacciata oltre il limite del tollerabile, agisce. È fuori discussione che, in caso di coinvolgimento diretto di Israele in qualsiasi conflitto, gli USA non potranno che schierarsi a fianco dello stato ebraico. Lo testimonia il segnale lanciato dai test missilistici congiunti israelo-americani di oggi nel Mediterraneo orientale. D’altro canto, i preparativi per l’eventuale confronto con la repubblica islamica non si sono mai fermati. A metà agosto il generale americano Martin Dempsey, presidente dello Stato Maggiore congiunto delle Forze Armate americane, ha pubblicamente affermato che le opzioni militari USA contro l’Iran sono migliori rispetto a un anno fa.

In sostanza, al momento Obama è apparso un presidente senza troppa spina dorsale, particolarmente ansioso di garantirsi il supporto preventivo a qualsiasi azione militare da parte della comunità internazionale o, in subordine, almeno del suo parlamento. Ma Russia, Siria o Iran faranno meglio a non esagerare con gli atteggiamenti strafottenti degli ultimi giorni, i quali ricordano più dei bulletti di periferia che degli stati sovrani. Un eventuale eccesso di boria e di arroganza potrebbe compattare sia il fronte interno USA sia l’Occidente al fianco di Obama, e riservare loro inaspettate, amare sorprese.


Fonti:
http://www.bbc.co.uk/news/world-middle-east-23950253
http://www.jpost.com/Defense/Israel-announces-successful-joint-missile-test-with-US-in-Med-325152
http://www.haaretz.com/news/diplomacy-and-defense/1.541704

Nessun commento: